Cass. pen. sez. VI - Sent. 25/11/2019 n. 47879 - Oltraggio a pubblico ufficiale: elementi costitutivi

Cass. pen. sez. VI - Sent. 25 novembre 2019, n. 47879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Presidente: Giovanni DIOTALLEVI
Rel. Consigliere: Alessandra BASSI
ha pronunciato la seguente

Sentenza

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Perugia in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in data 26 gennaio 2016, ha ridotto a mesi quattro di reclusione la pena inflitta in primo grado per il reato di cui all'art. 341 bis cod. pen. ed ha confermato nel resto la decisione, con la quale l'imputato è stato condannato, perché offendeva in luogo pubblico l'onore ed il prestigio del Vice Brig. B. B. nell'esercizio delle sue funzioni (in particolare, all'uscita dallo stadio dopo una partita di calcio, A. A. sputava in terra in direzione del militare e, dopo che questi l'aveva invitato a cessare qualsivoglia provocazione, proferiva al suo indirizzo l'espressione "ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco").

1.1. A sostegno della decisione, la Corte distrettuale ha rilevato come la responsabilità penale del prevenuto risulti provata alla luce delle testimonianze dei Vice Brig. C. C. e F. F., colleghi della persona offesa presenti all'accaduto, in assenza di riscontri idonei a corroborare la ricostruzione alternativa proposta dall'imputato. Il Giudice del gravame ha aggiunto che risultano indimostrati i pregressi episodi di acredine tra l'imputato e la persona offesa ventilati dalla difesa e che non sono emersi elementi per far ritenere l'espressione del A. A. giustificata alla luce di una provocazione posta in essere da parte del Vice Brig. B. B., risultando, pertanto, inapplicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 393 bis cod. pen.
Tanto premesso, la Corte d'appello ha ritenuto fondato il motivo in punto di trattamento sanzionatorio e, rilevata l'eccessiva gravità della pena inflitta in primo grado, l'ha ridotta nei termini sopra indicati.

2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, A. A. chiede l'annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 521 e 129, comma 2, cod. proc. pen. e 133 cod. pen.
A sostegno del motivo, il ricorrente evidenzia, da un lato, come la contestazione di oltraggio a pubblico ufficiale di cui al decreto che dispone il giudizio concerna esclusivamente l'utilizzo dell'espressione "ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco" e non anche il mero antefatto penalmente irrilevante dello sputare, di tal che l'estensione del giudizio di penale responsabilità anche in relazione a tale condotta sostanzia una chiara violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza, dunque del diritto di difesa e del principio dell'equo processo. Dall'altro lato, la difesa rimarca come non vi sia comunque prova dell'episodio dello sputo.

2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 341 bis cod. pen. e 3 Cost. nonché mancanza o insufficienza della motivazione.

Al riguardo, il ricorrente evidenzia, da una parte, come la Corte d'appello abbia erroneamente stimato irrilevanti i precedenti contrasti tra la persona offesa e l'imputato, in quanto tali da inquadrare l'espressione utilizzata dal A. A. come lesiva, non del prestigio e della funzione esercitata, ma - eventualmente - soltanto dell'onore della singola persona offesa; dall'altra parte, come l'espressione ritenuta oltraggiosa non sia a ben vedere idonea ad offendere i beni giuridici tutelati dalla norma, alla luce dell'evoluzione del costume e ai conseguenti orientamenti giurisprudenziali. Infine, rimarca come manchi l'elemento del compimento di un atto di ufficio.

2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 341 bis cod. pen. e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di considerare che la condotta contestata non veniva percepita da soggetti estranei alle forze dell'ordine, non potendosi evincere la prova della percezione dalla mera circostanza che il fatto avvenisse in uno stadio alla fine di una partita.

2.4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 393 bis cod. pen. e vizio di motivazione, per avere i giudici della cognizione erroneamente escluso gli estremi dell'atto arbitrario ex art. 393 bis cod. pen.

2.5. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 133 cod. pen., per avere la Corte distrettuale, per un verso, omesso di ponderare l'effettiva gravità dei fatti, alla luce delle circostanze del caso concreto e della personalità dell'imputato; per altro verso, applicato una pena superiore al minimo edittale senza esplicitarne le ragioni.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

2. All'evidenza destituito di fondamento è il primo motivo con cui il ricorrente denuncia la violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e sentenza con riguardo alla condotta dello sputare all'indirizzo del pubblico ufficiale, che precedeva la frase offensiva "ma tu sei ubriaco, tu sei ubriaco".

2.1. Mette conto di rammentare preliminarmente come la violazione del principio invocato dalla difesa ricorre allorquando il giudice pronunci condanna in relazione ad una fattispecie concreta, nella sua dimensione storico-fattuale, diversa da quella descritta nel decreto che dispone il giudizio ovvero risultante all'esito delle contestazioni suppletive. Secondo l'insegnamento di questa Suprema Corte, espresso anche a Sezioni Unite, per aversi mutamento del fatto occorre infatti una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).

2.2. Sulla scorta delle sopra delineate coordinate ermeneutiche, nessuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è ravvisabile nel caso in oggetto. Ed invero, dalla lettura dell'imputazione, emerge per tabulas la contestazione in fatto dell'indicata condotta - quale antefatto della frase offensiva e segmento integrante il complessivo comportamento oltraggioso in danno del militare -, di tal che non è revocabile in dubbio che A. A. abbia potuto svolgere appieno le proprie difese anche in relazione ad essa.

3. Al pari inammissibile è il secondo rilievo mosso con il primo motivo, in quanto, per un verso, risulta meramente reiterativo di una doglianza già dedotta in appello senza alcun confronto con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione, con ciò omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838); per altro verso, è teso a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

3.1. Ad ogni modo, la Corte territoriale ha bene argomentato le ragioni per le quali abbia ritenuto comprovata la materialità del sopra delineato antefatto, con considerazioni aderenti alle emergenze dell'incartamento processuale
(dichiarazioni rese dai testi presenti all'accaduto), lineari e conformi a logica e, pertanto, incensurabili in questa Sede (v. pagine 3 e seguenti della sentenza impugnata).

4. Analoghe considerazioni valgono con riguardo al secondo motivo, con cui il ricorrente contesta l'integrazione della fattispecie evidenziando, da un lato, l'assenza di offensività nella frase profferita all'indirizzo della persona offesa - in quanto, a suo avviso, inidonea ad offendere i beni giuridici tutelati dalla norma, alla luce dell'evoluzione del costume e ai conseguenti orientamenti giurisprudenziali -; dall'altro lato, la riconducibilità della vicenda a pregresse ruggini fra l'imputato e la persona offesa, mancando ad ogni modo il requisito del compimento di un atto di ufficio.

4.1. Oltre a tradursi in un'acritica riproposizione delle medesime doglianze già sottoposte al vaglio del Giudice del gravame - con conseguente loro aspecificità -, il motivo risulta all'evidenza destituito di fondamento, là dove la Corte territoriale, per un verso, ha escluso che sia provata in fatto la ventilata acredine tra le parti; per altro verso, ha convincentemente argomentato la natura offensiva del complessivo contegno del prevenuto nel mentre il Carabiniere era intento al compimento di un atto d'ufficio, id est lo svolgimento del servizio d'ordine pubblico in occasione di una manifestazione sportiva (v. pagina 3 della sentenza impugnata).

5. Palesemente destituita di fondamento è la terza doglianza con cui la difesa contesta che l'offesa possa essere stata percepita da soggetti estranei alle forze dell'ordine.

5.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall'art. 341 bis cod. pen. è necessario che l'azione si svolga in presenza di almeno due persone (Sez. 6, n. 16527 del 30/01/2017, Ciotti, Rv. 270581), tale essendo il requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi "più persone".
Una volta che sia provata la presenza di più persone, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341 bis cod. pen. è però sufficiente la mera possibilità della percezione dell'offesa da parte dei presenti. (Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, Ramondo, Rv. 273466), atteso che già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (Sez. 6, n. 15440 del 17/03/2016, Saad, Rv. 266546; Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828).

5.2. Delle sopra delineate coordinate ermeneutiche ha fatto buon governo la Corte distrettuale nel dare risposta all'omologa deduzione mossa dal A. A. in appello, nella parte in cui ha correttamente rilevato come - secondo la pacifica ricostruzione storico-fattuale (compiuta sulla base delle convergenti dichiarazioni rese dai testi oculari acquisiti al processo) - la vicenda sub iudice si svolgesse nel momento in cui l'imputato ed altri spettatori iniziavano a defluire dallo stadio, di guisa che, sulla scorta della regula iuris suddetta, una volta accertata la presenza di più persone, risultava consequenziale la possibilità di percezione dell'offesa da parte dei presenti (v. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).

6. Quanto al quarto motivo, inappuntabile è il passaggio argomentativo col quale la Corte distrettuale ha stimato insussistenti i presupposti per l'invocata causa di non punibilità ex art. 393 bis cod. pen., motivatamente escludendo la materialità della prospettata provocazione (richiamato sul punto quanto già osservato sub paragrafo 4.1).
Ciò a tacer del fatto che siffatta causa di giustificazione presuppone necessariamente un'attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell'azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi e altro, Rv. 266535), che neanche il ricorrente delinea essersi realizzata nella specie.

7. È inammissibile anche l'ultimo motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio.

7.1. Va invero rammentato al riguardo che, come più volte affermato da questa Corte, la determinazione della pena entro il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è pertanto insindacabile nella sede di legittimità allorché non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario Rv. 259142). Arbitrio ed irragionevolezza che non sono certamente ravvisabili nel discorso giustificativo svolto dal Giudice a quo a fondamento della pena inflitta in sentenza, là dove la Corte d'appello ha espressamente indicato le ragioni per le quali la pena-base non potesse coincidere col minimo edittale a causa dei precedenti penali del reo, procedendo nondimeno alla riduzione del trattamento sanzionatorio applicato dal primo Giudice alla luce delle modalità del fatto e delle circostanze del caso concreto (v. pagina 5 della sentenza impugnata).

8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila euro.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Il Presidente: DIOTALLEVI
Il Consigliere estensore: BASSI

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019.

 

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