Cons. di Stato - Sent. 27/09/2016 n. 3996

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27/09/2016, n. 3996

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 647 del 2015, proposto da I.C.I. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

Comune di Orta di Atella, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA -NAPOLI -SEZIONE VIII, n. 3273/2014, resa tra le parti, concernente annullamento in autotutela di permesso di costruire -ordinanza di demolizione -acquisizione opere a seguito di inottemperanza a ordine di demolizione -risarcimento dei danni;

Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Vista la memoria difensiva dell'appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 14 luglio 2016 il cons. Marco Buricelli e udito per la parte appellante l'avvocato Abbamonte;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Con atto di appello notificato il 16.1.2015 e depositato in segreteria il successivo 28 gennaio, la s.r.l. I.C.I. (in seguito, I.C.) ha chiesto a questo Consiglio di Stato la riforma della sentenza in epigrafe, con la quale il Tar Campania -Napoli ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla stessa I.C. contro il Comune di Orta di Atella (CE), e diretti all'annullamento dei seguenti atti e provvedimenti gravati in primo grado:

-provvedimento del responsabile del Settore Politiche del Territorio del Comune n. 15 del 17.10.2012, notificato il 26.10.2012, con il quale è stato disposto l'annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 35 del 2.5.2006;

-ordinanza del responsabile del Settore Politiche del Territorio - Servizio Urbanistica del Comune n. 45 del 10.6.2013, notificata in data 25.6.2013, con la quale è stata decretata la demolizione delle opere realizzate dalla I.C. in Orta di Atella, alla Via S. Pietro, 35/37, in forza del permesso di costruire n. 35/2006 (e previa comunicazione prot. n. (...) del 6.5.2013 di avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 35/2006);

-provvedimento del responsabile del Settore Politiche del Territorio -Servizio Urbanistica del Comune prot. n. (...) del 30.9.2013, notificato il 15.10.2013, con il quale è stata accertata l'inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 45/2013 ed è stata disposta l'immissione nel possesso, ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, nell'immobile della ricorrente in Via S. Pietro, 35/37;

-altri atti presupposti, preparatori, endoprocedimentali, connessi e/o conseguenti, comunque lesivi degli interessi della società ricorrente;

ed è stata altresì respinta la domanda, avanzata dalla I.C., di condanna del Comune al risarcimento dei danni.

2. Ai fini di un corretto riepilogo della vicenda (in ordine al quale si può anche fare rinvio alla sentenza impugnata, pagine 2 e seguenti), va rammentato che dagli atti risulta che la ricorrente e odierna appellante è proprietaria di un fondo sito in Orta di Atella e riportato nel catasto comunale al fg. 6, part. (...), Via S. Pietro, 35/37, collocato in zona classificata F3 -Centro direzionale e di servizi per le attività produttive, nel quale è ammessa la costruzione di edifici con destinazione a uffici.

L'attuale appellante e originaria ricorrente riferisce che il fondo suddetto è situato in una zona totalmente urbanizzata del Comune, e ciò sia all'atto del rilascio del permesso di costruire (maggio 2006), e sia al momento della emanazione del provvedimento di annullamento in via di autotutela del permesso anzidetto (ottobre 2012). In particolare, l'area d'intervento si trova nel centro abitato di Orta di Atella ed è prospiciente a una strada pubblica, oltre a essere dotata di tutte le opere di urbanizzazione primaria (e secondaria, in quanto collocata nel centro abitato del Comune).

Occorre precisare che, con riferimento alle zone F3, gli articoli 8 e 32 delle NTA del PRG subordinano l'edificazione alla previa approvazione di un piano particolareggiato di esecuzione (p.p.e.), di iniziativa comunale, esteso alla intera zona, finalizzato alla definizione dell'organizzazione planovolumetrica, della viabilità e delle tipologie edilizie.

Ciò premesso, il 2.5.2006 il Comune, accertato che la richiedente aveva titolo per domandare il rilascio del permesso, richiamata la normativa rilevante e considerato che in base alle vigenti norme urbanistiche ed edilizie è consentita, per il progetto, la destinazione a uffici, rilasciava a I.C. il permesso di costruire n. 35 relativo alla edificazione di un fabbricato da destinare a uffici, in perfetta conformità con la destinazione urbanistica dei suoli e con gli indici fissati dal p.r.g. (così a pag. 3 dell'atto di appello).

La società -che riferisce di avere versato al Comune, all'atto del rilascio del p.d.c. n. 35/2006, gli oneri di urbanizzazione e i costi di costruzione- realizzava compiutamente le opere assentite nel permesso di costruire n. 35/2006 ultimandole nel 2008 e comunicando al Comune l'avvenuta conclusione dell'intervento.

A distanza di oltre cinque anni dal rilascio del permesso n. 35/2006 e quando i lavori di edificazione erano oramai ultimati da anni il Comune, con nota in data 9.12.2011, comunicava alla società l'avvio del procedimento diretto all'annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 35/2006, contestando l'illegittimità del permesso poiché assentito senza la previa adozione del piano particolareggiato richiesto dalle NTA del PRG per poter edificare in zona F3.

Acquisite dal privato "osservazioni al procedimento", in data 13.1.2012, il Comune, con il provvedimento suindicato n. 15 del 17.10.2012, disponeva l'annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 35/2006.

A sostegno dell'annullamento d'ufficio il Comune rilevava in particolare l'assenza del piano particolareggiato di esecuzione e la carenza, nel comprensorio interessato, di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti, con la conseguenza che non è possibile prescindere dalla definizione del piano urbanistico attuativo.

Nel provvedimento di autotutela si soggiungeva, in modo testuale, che:

pur considerando il tempo trascorso dal rilascio del titolo autorizzativo, il provvedimento di annullamento è necessario per il perseguimento dello scopo cui è teleologicamente vincolata l'amministrazione;

- proprio in ragione del tempo trascorso e della situazione di fatto che "medio tempore" si è determinata, si rileva l'effettiva utilità ("rectius", esigenza) per la collettività territoriale di Orta di Atella di perseguire l'assetto urbanistico congegnato al momento della prescrizione di piano e l'indisponibilità di altri strumenti in grado di rendere effettiva la potestà pianificatoria dell'ente;

- con il rilascio di titoli abilitativi edilizi singoli in area non urbanizzata, gli interessati sono legittimati ad utilizzare l'intera proprietà a fini privati, scaricando interamente sulla collettività i costi conseguenti alla realizzazione di infrastrutture per i nuovi insediamenti;

- attraverso una corretta attività di pianificazione ed attuazione del piano regolatore generale (nonché attraverso il controllo delle previsioni del piano urbanistico comunale adottato) ... le opere di urbanizzazione sono destinate ad assicurare alla collettività insediata in un determinato contesto urbanistico ... una qualità di vita di livello adeguato all'accresciuta domanda di servizi collettivi, i cui standards sono stabiliti, in concreto, nella quantità minima di cui al D.M. n. 1444 del 1968 ed all'intera disciplina della materia;

- nella comparazione delle posizioni giuridiche in rilievo deve, quindi, darsi prevalenza al diritto della collettività di ottenere le dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, che ... garantiscono la normale qualità del vivere in un contesto urbanistico.

I.C. impugnava l'atto di annullamento in autotutela n. 15/2012 con il ricorso al Tar Campania -Napoli n. RG 31/2013.

In data 10.6.2013 il Comune adottava l' ordinanza n. 45 con la quale veniva disposta la demolizione delle opere realizzate sulla base del permesso di costruire n. 35 del 2006.

Nell'ordinanza il Comune richiamava il precedente provvedimento n. 15/2012 e il conseguente carattere abusivo dell'opera in ragione dell'intervenuto annullamento del permesso di costruire.

I.C. contestava anche l'ingiunzione di demolizione con motivi aggiunti.

Con ordinanza n. (...) del 30.9.2013 l'Amministrazione accertava l'inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 45/2013 e disponeva l'immissione nel possesso, ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, nell'immobile della ricorrente in Via S. Pietro, 35/37.

I.C. gravava anche quest'ultimo atto con motivi aggiunti e proponeva in via contestuale domanda rivolta a vedere condannato il Comune a risarcire il danno arrecato in relazione al pregiudizio patrimoniale sofferto dalla società per la perdita della disponibilità degli immobili realizzati, oggetto di demolizione.

3. Con la sentenza in epigrafe il Tar, nella resistenza del Comune, ha respinto l'azione impugnatoria e l'azione risarcitoria proposte dalla società con il ricorso n. R. G. n. 31/2013.

In particolare, la sentenza di primo grado ha:

-respinto anzitutto la censura basata sulla dedotta violazione degli articoli 7 e 10 della L. n. 241 del 1990, per mancata attuazione del contraddittorio procedimentale. Nella sentenza si legge che il provvedimento impugnato reca una specifica e analitica motivazione in ordine alle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni procedimentali formulate, il che consente di dequotare il profilo formale attinente alla erronea affermazione, contenuta nel provvedimento conclusivo, circa il mancato invio di controdeduzioni, da parte della ricorrente, in riscontro all'avviso di avvio del procedimento;

-statuito che il Comune ha correttamente applicato i principi in materia di annullamento in autotutela di titoli edilizi avendo dato conto, nel provvedimento conclusivo, dell'illegittimità originaria del titolo edilizio, per contrasto con l'art. 32 delle NTA del PRG, e della motivazione di interesse pubblico all'annullamento (giacché di annullamento ex art. 21 -nonies, e non di revoca ex art. 21 -quinquies, si tratta), venendo in questione una insufficiente urbanizzazione dell'area, tenuto anche conto del tempo trascorso dal rilascio del permesso di costruire. Al riguardo, la sentenza afferma tra l'altro che nel caso di specie non sussiste un legittimo affidamento del privato poiché il titolo era palesemente esorbitante dai limiti legali e anche in presenza di un'area urbanizzata sarebbe stato necessario un piano particolareggiato. La motivazione del provvedimento lesivo risulta nel complesso adeguatamente circostanziata;

-osservato che la mera esistenza di infrastrutture non implica una proporzionata urbanizzazione dell'area e che la ricorrente non ha fornito prova della sufficienza delle opere esistenti a soddisfare le esigenze della comunità locale;

-respinto il profilo di censura dedotto da I.C. secondo cui il Comune, prima di adottare il gravato provvedimento in autotutela, avrebbe dovuto predisporre, ai sensi degli articoli 29 della L. n. 47 del 1985 e 23 della L.R. n. 16 del 2004, la pianificazione di recupero degli insediamenti abusivi presenti nell'area di intervento;

-rilevato che l'ordine di demolizione non richiede una valutazione e motivazione specifica dell'interesse pubblico poiché si tratta di atto vincolato. Come tale, esso non richiede al Comune un particolare impegno motivazionale. L'accertata inottemperanza alla ingiunzione di demolizione giustifica inoltre l'atto di acquisizione ex art. 31 delD.P.R. n. 380 del 2001 successivamente adottato;

-accertato, con riferimento alla domanda risarcitoria proposta, la conoscenza della quale va devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, l'insussistenza di un affidamento legittimo in capo alla società I.C. in ordine alla legittimità del permesso di costruire, e ciò sulla base del principio di autoresponsabilità;

-compensato le spese di causa tra le parti.

4. I.C. ha interposto appello avverso la sentenza criticandola sotto diversi profili.

Sub I -error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell'art. 32 delle NTA al PRG del Comune in connessione con gli articoli 9 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001 e con l' art. 7 della L. n. 241 del 1990 - erronea applicazione dell'art. 64 cod. proc. amm. - motivazione erronea su un punto decisivo della controversia, l'appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto non superabile la necessità dell'adozione preventiva di un piano particolareggiato poiché la mera esistenza di infrastrutture non implica adeguatezza e proporzionalità delle opere rispetto ai fabbisogni della collettività in relazione al nuovo agglomerato urbano formatosi e agli standards urbanistici minimi. Ad avviso dell'appellante sarebbe invece possibile superare la prescrizione del PRG sulla previa necessaria approvazione del piano particolareggiato poiché la necessità o meno dello strumento attuativo dipende dalla situazione concreta sulla quale il piano esecutivo è destinato ad operare e in particolare dal grado di edificazione e di completezza delle urbanizzazioni in relazione al peso insediativo realizzando. Su questo punto la giurisprudenza si è pronunciata in più occasioni rilevando, in particolare, l'illegittimità del diniego di concessione edilizia fondato sulla carenza del piano attuativo prescritto dal piano regolatore qualora l'area interessata dal progetto risulti urbanizzata e l'amministrazione abbia omesso di valutare in modo rigoroso l'incidenza sulla situazione generale del comprensorio del nuovo insediamento, oggetto della richiesta, quando cioè non si sia adeguatamente tenuto conto dello stato di urbanizzazione già esistente nella zona della futura insistenza dell'edificazione né siano state congruamente evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione. Detta valutazione sarebbe stata effettuata dall'Amministrazione comunale che con il permesso di costruire n. 35/2006 avrebbe ritenuto correttamente urbanizzata l'area. Nell'atto di appello si censura ulteriormente la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che l'appellante non avrebbe comprovato in modo compiuto la sufficiente urbanizzazione dell'area in relazione alle esigenze della collettività. Ad avviso dell'appellante, la conclusione del Tar sul punto non tiene conto del fatto che l'accertamento dell'urbanizzazione dell'area era stato compiuto dalla stessa Amministrazione comunale in sede di rilascio del permesso di costruire n. 35/2006, dove si dava atto della non necessità della previa approvazione del piano particolareggiato di esecuzione, stante l'urbanizzazione dell'area. Peraltro, la pronuncia di primo grado avrebbe applicato in modo erroneo l'art. 64 del cod. proc. amm. svilendo inoltre l'obbligo di motivazione sancito dall' art. 3 della L. n. 241 del 1990 poiché a fronte di un'istruttoria condotta dal Comune nel 2006 avrebbe dovuto essere il Comune, con il provvedimento impugnato del 2012, a provare, con un'istruttoria puntuale ed esaustiva, che l'area non era urbanizzata e che l'accertamento condotto dallo stesso Comune nel 2006 era illegittimo.

Invece il provvedimento impugnato si limita ad affermazioni insufficientemente motivate in ordine alla carenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti. L'appellante ritiene inoltre di avere comprovato l'urbanizzazione dell'area, avendo prodotto in giudizio una perizia giurata di parte, sicché la sentenza sarebbe incorsa in un errore ulteriore laddove ha ritenuto non raggiunta la prova relativa al livello adeguato di urbanizzazione primaria e secondaria dell'area per il tramite della documentazione prodotta dalla I.C., con la conseguenza che l'intervento andava autorizzato in deroga all'obbligo del previo strumento attuativo, ancorché previsto dalle NTA del PRG.

Sub II, nel dedurre error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell' art. 7 della L. n. 241 del 1990 -motivazione erronea su un punto decisivo della controversia, l'appellante rileva l'erroneità della sentenza di primo grado per avere respinto il motivo di carattere procedimentale basato sulla violazione degli articoli 7 e 10della L. n. 241 del 1990, per mancata attuazione delcontraddittorio procedimentale. Nell'atto di appello si sostiene in particolare che l'Amministrazione non avrebbe neanche letto le memorie infraprocedimentali inviate dall'appellante, come si evince dal testo del provvedimento impugnato laddove si afferma che l'interessata non ha fornito alcuna nota di riscontro alla comunicazione di avvio del procedimento. La sentenza di primo grado, nel respingere la censura, conterrebbe una pronuncia additiva della motivazione del provvedimento impugnato poiché lo stesso non confuterebbe le osservazioni presentate dalla interessata.

Con il III motivo, concernente error in iudicando per violazione degli articoli 21 quinquies e 3 della L. n. 241 del 1990, si osserva che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere insussistenti i presupposti di legge per l'esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies cit. , avendo evidenziato come la revoca ex art. 21 quinquies non sarebbe applicabile agli atti a effetti istantanei, quali i permessi di costruire.

Ad avviso dell'appellante l'atto del 25.10.2012 andrebbe qualificato come "revoca" di un permesso di costruire già rilasciato ed eseguito, ma per la giurisprudenza non è ammissibile alcun potere di revoca nei confronti delle concessioni edilizie. Si deduce inoltre che il Comune non avrebbe adeguatamente comparato l'interesse pubblico con gli interessi privati coinvolti, anche avuto riguardo al fatto che il potere di autotutela è stato esercitato oltre sei anni dopo l'avvenuto rilascio del permesso di costruire e diversi anni dopo l'ultimazione dei lavori. Il Comune si sarebbe infatti limitato -in modo illegittimo- a indicare, sul presupposto della non avvenuta urbanizzazione dell'area, l'interesse al ripristino della legalità violata, laddove sarebbe stato invece necessario specificare l'interesse pubblico concreto e attuale, prevalente sull'interesse privato, in considerazione del lungo periodo di tempo trascorso (più di sei anni, come detto), e dell'affidamento ingenerato nel privato.

Nel rilevare, sub IV, error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell' art. 29 della L. n. 47 del 1985 e dell'art. 23 della L.R. n. 16 del 2004 - motivazione erronea su un punto decisivo della controversia, si sostiene che la sentenza di primo grado avrebbe errato nel ritenere non applicabili al caso di specie l' art. 29 della L. n. 47 del 1985 e l'art. 23 della L.R. n. 16 del 2004 sul recupero degli standards carenti attraverso l'approvazione di una variante al PRG a valersi quale piano particolareggiato a sanatoria affermandone l'applicazione circoscritta al recupero degli immobili abusivamente realizzati alla data di entrata in vigore delle leggi sopra citate. Ad avviso dell'appellante la normativa di riferimento sarebbe invece applicabile a ogni ipotesi di abuso edilizio a prescindere dalla data di esecuzione dello stesso e non sarebbero esclusi gli interventi realizzati dopo il 31 dicembre 1993 come, viceversa, è stato affermato in maniera erronea nella pronuncia di primo grado.

Con il V motivo, recante error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell' art. 3 della L. n. 241 del 1990- motivazione erronea su un punto decisivo della controversia, l'appellante osserva che la sentenza gravata va riformata anche nella parte in cui ha respinto i motivi aggiunti proposti contro gli ordini di demolizione e di acquisizione, avendo errato nel ritenere non necessaria, nell'ordinanza di demolizione e nell'ordinanza di acquisizione impugnate con motivi aggiunti, una motivazione puntuale sull'interesse pubblico. Si sostiene che la sentenza avrebbe dovuto considerare le peculiarità della fattispecie, ossia il fatto che I.C. ha edificato per effetto di un permesso di costruire rilasciato nel 2006, il che imponeva un obbligo puntuale di motivazione, non bastando il richiamo al carattere abusivo delle opere.

Sub VII, infine, vale a dire sul rigetto dell'istanza risarcitoria -error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2043 cod. civ. - motivazione erronea su un punto decisivo della controversia (nell'atto di appello manca il p. VI) si evidenzia che la sentenza di primo grado avrebbe errato nel respingere la richiesta risarcitoria, avanzata dall'appellante per il caso di rigetto del ricorso impugnatorio e di conseguente declaratoria di legittimità degli atti gravati. Diversamente da quanto ritenuto dal Tar, il Comune dovrebbe invece rispondere dei danni sofferti dall'appellante poiché I.C. ha edificato per effetto di un permesso di costruire, il n. 35/2006, rilasciato dal Comune in assenza di un piano particolareggiato che il Comune all'epoca non aveva considerato necessario, salvo intervenire nuovamente, a distanza di più di sei anni, a intervento compiutamenterealizzato.

La sentenza appellata avrebbe altresì errato nell'avere ritenuto che, ex art. 1227 cod. civ. , l'appellante non potesse vantare alcun legittimo affidamento in merito alla validità del p. d. c. n. 35/2006 perché aveva l'onere di verificare la conformità dell'intervento alla normativa vigente.

Ad avviso dell'appellante la pronuncia non considera che la valutazione sulla necessità o meno del piano particolareggiato era stata compiuta non dalla impresa ma dal Comune il quale, in sede di rilascio del permesso n. 35/2006, ha attestato, per il tramite dei propri uffici, la possibilità dell'edificazione a mezzo di permesso di costruire diretto: sussisterebbe quindi un legittimo affidamento dell'impresa in ordine alla validità del titolo, ulteriormente supportato dal fatto che tra il rilascio del p.d.c. e il successivo intervento in autotutela sono trascorsi più di sei anni. Risulta quindi violato l'art. 2043 cod. civ. e l'appellante al riguardo quantifica la domanda risarcitoria nella misura di Euro 3.400.000,00 Euro, oltre a interessi e a rivalutazione dal 2006 come quantificati nella perizia tecnica di parte depositata in primo grado.

Il Comune, benché ritualmente intimato, non si è costituito.

In prossimità dell'udienza di discussione l'appellante ha depositato una memoria conclusiva e all'udienza del 14.7.2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

5. L'appello è fondato e va accolto per le ragioni, entro i limiti e con gli effetti che saranno specificati in motivazione.

Prima di tutto il Collegio ritiene doveroso, anche alla luce di quanto statuito dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio con la sentenza n. 4 del 2015, e ritiene comunque utile, avuto anche riguardo all'eventuale rinnovazione dell'azione amministrativa in conformità alle indicazioni svolte in sentenza, rilevare preliminarmente che:

-diversamente da quanto affermato dalla società appellante e in modo conforme a quanto puntualizzato in sentenza, nella vicenda controversa è contestato un provvedimento qualificabile senz'altro come annullamento d'ufficio in via di autotutela, ex art. 21 -nonies della L. n. 241 del 1990 , e ciò sia in base al tenore letterale del provvedimento medesimo, nell'intitolazione, nelle premesse e nel dispositivo, e sia perché, sul piano strettamente motivazionale, risulta evidente che l'atto si fonda sulla (ritenuta) illegittimità originaria del permesso di costruire del 2006, rilasciato in violazione delle NTA del PRG.

Non viene, invece, in questione, a differenza di quanto ritiene l'appellante, una revoca di permesso di costruire ex art. 21 -quinquies della L. n. 241 del 1990 , premessa dalla quale discenderebbe de plano, stando sempre alla prospettazione di I.C., l'illegittimità del provvedimento di autotutela del 17.10.2012 posto che, come evidenzia la ricorrente e odierna appellante, la revoca è ammessa soltanto in relazione agli atti amministrativi a efficacia durevole e come tale non è configurabile con riferimento alle concessioni edilizie;

-sotto una differente angolazione (si legga a questo riguardo il IV motivo di appello, da rigettare), bene la sentenza ha respinto la tesi di I.C. per la quale il Comune, prima di adottare il provvedimento in autotutela, avrebbe dovuto predisporre, ai sensi degli articoli 29 della L. n. 47 del 1985 e 23 della L.R. n. 16 del 2004, la pianificazione di recupero degli insediamenti abusivi presenti nell'area di intervento.

Effettivamente, il richiamo operato da I.C. alla disciplina statale e regionale suindicata non appare corretto poiché il recupero urbanistico ed edilizio in essa previsto si riferisce in via esclusiva agli insediamenti abusivi esistenti al 1.10.1983 e al 31.12.1993 e, comunque, a insediamenti non legittimati ab origine da titoli abilitativi, ma condonati ex post.

Nel caso in esame, invece, gli immobili in argomento risultano edificati dopo le date indicate sopra e in base a un preventivo rilascio di permesso di costruire, annullato col provvedimento impugnato in primo grado, sicché la pianificazione di recupero non sarebbe stata comunque logicamente ipotizzabile prima dell'annullamento d'ufficio del permesso di costruire riferito alle opere realizzate e alla sopravvenuta abusività di queste ultime.

Sempre in via preliminare appare opportuno rammentare che la giurisprudenza amministrativa, qui condivisa (v., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 5471 del 2008 e sez. V, n. 5251 del 2013), ha individuato situazioni in presenza delle quali il permesso di costruire può essere legittimamente rilasciato anche in assenza del piano attuativo richiesto dallo strumento urbanistico sovra ordinato, in particolare quando l'area del richiedente sia l'unica a non essere stata ancora edificata pur trovandosi in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche integralmente dotata delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; qualora, cioè, nel comprensorio interessato, sussista una situazione di fatto corrispondente a quella derivante dall'attuazione del piano esecutivo richiesto dallo strumento urbanistico generale, ovvero siano presenti opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti, sì da rendere superflui gli strumenti attuativi (sulla derogabilità, a determinate, rigorose condizioni, dell'obbligo della preventiva approvazione del piano esecutivo, anche il giudice di primo grado sembra convenire).

In questo senso, e con queste precisazioni, il piano attuativo ammette equipollenti, per dir così, in via di fatto.

5.1. Ciò detto, per esigenze di pregiudizialità e per ragioni di economia processuale il Collegio ritiene di esaminare -e di considerare fondato e accoglibile- il motivo sopra sintetizzato al p. 4/ I), basato (anche) su profili di censura di insufficiente motivazione e difetto di istruttoria.

A questo riguardo, ribadito che l'annullamento in autotutela muove dall'assunto secondo cui il rilascio del permesso di costruire, in zona F3 e nell'area de qua, risulta subordinato, dall'art. 32 delle NTA del PRG, alla preventiva approvazione di un piano particolareggiato di esecuzione, di iniziativa comunale, esteso alla intera zona, il Collegio ritiene che la verifica preliminare sull'effettiva necessità, o meno, nella specie, dello strumento attuativo, in relazione al livello concreto di urbanizzazione della zona, dagli atti di causa e con riferimento al momento dell'adozione del provvedimento contestato in via principale (ottobre del 2012) non sembra essere stata effettuata in modo adeguato, e sufficientemente approfondito.

Indipendentemente infatti da eventuali verifiche giudiziali in ordine al livello effettivo di urbanizzazione caratterizzante (nel 2006 e nel 2012) il comparto territoriale in discussione (spetta infatti unicamente al Comune, fatto salvo un sindacato del giudice amministrativo ammesso entro limiti ristretti, l'apprezzamento sulla congruità del grado di urbanizzazione dell'area: cfr. Cons. Stato, IV, n. 3699 del 2010); a prescindere dalla soluzione da dare alla questione, posta dall'appellante I.C., in ordine alla corretta distribuzione dell'onere della prova nella -invero assai peculiare- vicenda contenziosa all'esame di questo giudice, e dall'attendibilità della documentazione prodotta dalla società allo scopo di comprovare l'adeguatezza in concreto del livello di urbanizzazione della zona; il Collegio considera sufficiente e, al tempo stesso, decisivo, per dirimere la controversia, condividere le considerazioni formulate dall'appellante con il primo motivo di appello, a sostegno dei profili di censura d'insufficiente motivazione e istruttoria e a confutazione di alcune delle asserzioni svolte in sentenza.

In particolare, a fronte del rilascio del permesso di costruire, avvenuto nel 2006 (sull'assunto, solo implicito, ma cionondimeno da presumersi, di una compiuta urbanizzazione della zona), e prima di considerare indispensabile la previa adozione del piano attuativo, alla stregua del disposto di cui all'art. 32 delle NTA del PRG, andava verificato in modo puntuale e approfondito, da parte dell'Amministrazione, con riferimento alla data di adozione del provvedimento lesivo, anche alla luce della perizia tecnica di parte prodotta e delle "osservazioni al procedimento" ex art. 10 della L. n. 241 del 1990 acquisite al protocollo dell'Ente in data 13.1.2012, lo stato reale di urbanizzazione della intera zona (allo scopo di accertare la sussistenza delle condizioni -di "piena" o comunque "adeguata" urbanizzazione- per poter derogare, ove del caso, all'obbligo, sancito dalle NTA del PRG, della preventiva approvazione del piano esecutivo per la realizzazione di strutture edilizie, con il conseguente venire meno del requisito basilare per poter procedere in autotutela a danno della società).

Tutto ciò, però, non risulta essere stato fatto compiutamente.

Detto altrimenti, a differenza di quanto si afferma in sentenza, dall'esame del provvedimento in autotutela impugnato in primo grado, come trascritto sopra, al p. 2., e a prescindere dalle considerazioni sul "valutato", che seguono, logicamente, la verifica di cui si è detto, considerazioni sulle quali l'autorità emanante si sofferma nella seconda parte della motivazione dell'atto del 17.10.2012 (v. pag. 2) secondo quanto specificamente dispone l'art. 21 -nonies della L. n. 241 del 1990 , non sembra che il Comune abbia compiuto la necessaria, approfondita verifica sullo stato di urbanizzazione della zona e sulle eventuali ulteriori esigenze di urbanizzazione dell'area; non pare, quantomeno, che l'Amministrazione abbia effettuato, trasponendone le risultanze nella motivazione dell'atto di annullamento in autotutela, le indagini necessarie sul fabbisogno di standards della zona e sulla ubicazione degli stessi come prevista dal PRG, essendosi il Comune limitato ad affermare, ma non a specificare in maniera dettagliata, che nel comprensorio non sono presenti opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti, con la conseguente impossibilità di prescindere dalla previa approvazione dello strumento attuativo, considerato l'insufficiente livello di urbanizzazione della zona.

Non pare perciò che il Provv. del 17 ottobre 2012 possa considerarsi sorretto da un "sostegno motivazionale e istruttorio" adeguato (sul tema, per certi versi analogo, inerente alla illegittimità di un diniego di concessione edilizia fondato sulla carenza del piano attuativo prescritto dal piano regolatore qualora l'amministrazione abbia omesso di valutare in modo rigoroso l'incidenza del nuovo insediamento, oggetto dell'istanza, sulla situazione generale del comprensorio; qualora cioè non si sia tenuto conto in modo adeguato dello stato di urbanizzazione già esistente nella zona della futura insistenza dell'edificazione né siano state congruamente evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione v. Cons. Stato, sez. IV, nn. 6171 del 2007 e 5251 del 2013).

L'accoglimento del profilo di censura su esposto, dal quale discende -in riforma della sentenza, nella sua parte impugnatoria, per le ragioni e nei limiti sopra specificati- l'annullamento in via giurisdizionale del provvedimento in autotutela del 17.10.2012, appare in sé e per sé sufficiente per soddisfare l'interesse della originaria ricorrente e odierna appellante inciso dall'atto anzidetto, dato che la sentenza tutela interessi oppositivi ed è quindi self executing, con la salvezza, tuttavia, di una rinnovazione dell'azione amministrativa che dovrà conformarsi alle considerazioni svolte da questo giudice.

A quest'ultimo riguardo non pare un fuor d'opera rammentare che tra il rilascio del permesso di costruire (maggio del 2006) e l'annullamento in autotutela (ottobre del 2012) sono trascorsi oltre sei anni.

5.2. Non pare superfluo aggiungere che anche il motivo d'appello sub II, basato sulla violazione degli articoli 7 e10 della L. n. 241 del 1990, puntualmente dedotta dall'appellante, è fondato e va accolto atteso che il provvedimento impugnato, già insufficientemente motivato di suo, puntualizza che la società non ha inviato alcuna nota di riscontro alla comunicazione di avvio del procedimento: senonché, diversamente da quanto si osserva nelle premesse del provvedimento di autotutela impugnato, e a differenza di quanto si ritiene in sentenza, laddove il Tar rileva che le osservazioni procedimentali sarebbero state tenute presenti dall'Amministrazione e che sulle stesse il Comune si sarebbe espresso discostandosene motivatamente, nelle premesse dell'atto di autotutela è riportato che la società non ha riscontrato in alcun modo l'avviso di avvio del procedimento.

Ora, il Collegio sa bene che per la giurisprudenza di questo Consiglio il dovere di esame delle memorie prodotte dall'interessato a seguito della comunicazione di avvio del procedimento non comporta la confutazione analitica delle allegazioni presentate dall'interessato, purché il provvedimento finale sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibili le ragioni del mancato adeguamento dell'azione amministrativa a quelle osservazioni.

L'amministrazione, nell'adottare il provvedimento finale, non è tenuta cioè a riportare il testo integrale delle deduzioni del potenziale destinatario, essendo sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee.

Tuttavia, nella specie, l'onere gravante sulla P. A. , benché assai lieve, non risulta essere stato adempiuto dall'autorità emanante.

5.3. Dall'annullamento giurisdizionale dell'atto di autotutela, di per sé satisfattivo dell'interesse fatto valere da I.C., deriva l'assorbimento -non solo dei motivi di appello non esplicitamente trattati ma anche- del motivo di gravame attinente al rigetto dell'istanza risarcitoria, posto che nell'atto di appello I.C. evidenzia di avere proposto a suo tempo istanza di risarcimento del danno nei confronti del Comune di Orta di Atella per l'ipotesi di rigetto del ricorso impugnatorio e di conseguente declaratoria di legittimità degli atti gravati: ipotesi che nella specie non si è verificata, stante l'intervenuto accoglimento del ricorso di primo grado e in considerazione dell'annullamento giudiziale del provvedimento di autotutela, annullamento adeguatamente satisfattivo dell'interesse del privato vittorioso, allo stato e fatto salvo come detto l'eventuale rinnovo dell'azione amministrativa.

Dall'annullamento dell'atto di annullamento in autotutela discende la caducazione sia dell'ordinanza di demolizione del 10.6.2013 per invalidità derivata, e sia dell'atto del 30.9.2013 di accertamento d'inottemperanza.

La natura e le peculiarità della controversia giustificano in via eccezionale la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

 P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede:

-accoglie l'appello per le ragioni ed entro i limiti specificati in motivazione (v. p. 5.) e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, nella sua parte impugnatoria, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado;

-compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

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