Cass. pen. sez. V - Sent. 10/10/2019 n. 41702 - La falsa dichiarazione sulla propria identità integra il reato di cui all'art. 495 c.p.

Cass. pen. sez. V - Sent. 10 ottobre 2019, n. 41702

La falsa dichiarazione sulla propria identità integra il reato di cui all'art. 495 c.p.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE

Sentenza

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell'11 luglio 2018, la Corte d'appello di Genova ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 14 novembre 2013, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di A. A. in ordine al delitto di cui all'art. 496 cod. pen.

2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, Avv. Federico Cappellini.
Preliminarmente, il ricorrente impugna l'ordinanza in data 24 maggio 2018 con la quale la Corte d'appello ha rigettato la richiesta di concordato ex art. 599 bis comma 3, cod. proc. pen.; indi articola due motivi.

2.1. Con il primo motivo, deduce erronea applicazione della legge penale, in relazione alla mancata qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 494 cod. pen. per avere la Corte territoriale, investita di specifico motivo d'appello, erroneamente ritenuto che la clausola di sussidiarietà contenuta nella norma evocata non ne consentisse l'applicazione, in presenza di un fatto ascrivibile alla più grave fattispecie di cui all'art. 496 cod. pen. Ad avviso del ricorrente, invece, per effetto delle modifiche normative introdotte con I. n. 125 del 24 luglio 2008, la clausola "fuori dei casi indicati negli articoli precedenti" prevista nell'art. 496 cod. pen. - di cui è stata modificata solo la cornice edittale - non può che riferirsi ancora anche all'art. 494 cod. pen., rispetto al quale resta residuale, non trovando applicazione il principio di cui all'art. 15 cod. pen. poiché trattasi di fattispecie in rapporto di specialità reciproca.

2.2. Con il secondo motivo, deduce inosservanza della legge penale in relazione alla mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione quanto alla relazione di servizio della polizia municipale del 19 dicembre 2011, avendo la Corte territoriale ritenuto erroneamente una particolare intensità del dolo - posta a fondamento dell'esclusione dell'invocata causa di improcedibilità - peraltro in contrasto con quanto rilevato nella sentenza di primo grado richiamata per relationem, e valorizzato un movente diverso dalle causali ostative previste dall'art. 131-bis cod. pen.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

1. È manifestamente infondata la questione inerente la qualificazione giuridica dei fatti proposta nel primo motivo di ricorso e posta a fondamento dell'impugnazione dell'ordinanza reiettiva dell'istanza di concordato.

1.1. L'unanime orientamento di legittimità si esprime nel senso che il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 cod. pen. ha carattere sussidiario e residuale, trovando applicazione solo ove non ricorrano le fattispecie incriminatrici successive (Sez. 5, n. 45527 del 15/06/2016, Moglianesi, Rv. 268468); in particolare, allorquando l'induzione in errore, al fine di vantaggio o di danno, è commessa mediante l'attribuzione di un falso nome in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico, ovvero all'autorità giudiziaria, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall'art. 495 cod. pen., restando assorbito quello sussidiario di sostituzione di persona (n. 45527 del 2016, ibidem, n. 8152 del 1987 Rv. 176368).
In particolare, la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, integra il reato di cui all'art. 495 cod. pen., considerato che dette dichiarazioni - in assenza di altri mezzi di identificazione - rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l'elemento distintivo del reato di cui all'art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all'ipotesi di reato di cui all'art. 496 cod. pen. (Sez. 5, n. 36834 del 20/07/2016, Mattei, Rv. 268157, N. 4414 del 2009 Rv. 242620, N. 19963 del 2009 Rv. 244004, N. 3042 del 2011 Rv. 249707, n. 7286 del 2015, Rv. 262658, n. 36904 del 2017 Rv. 271215, n. 29874 del 2017 Rv. 270876, n. 26575 del 2018 Rv. 273469).
E tale attestazione ricorre quando le false dichiarazioni sulla propria identità siano fornite agli agenti operanti che trovino il soggetto privo di documenti d'identità, di modo che, per l'assenza di altri mezzi di identificazione, la dichiarazione del prevenuto costituisce vera e propria attestazione tesa a garantire ai pubblici ufficiali le proprie qualità personali.
Deve trovare, pertanto, applicazione, nei casi predetti l'art. 495 cod. pen - e non l'art. 496 cod. pen., che è norma residuale rispetto alla prima - quando, come nel caso di specie, la dichiarazione falsa sulle generalità si configuri come una vera e propria "attestazione" al pubblico ufficiale, elemento quest'ultimo presente e connotante in forma specifica la norma dell'art. 495 soltanto.
Donde la infondatezza della prospettazione del ricorrente, fondata su una interpretazione sistematica dei reati contenuti nel Capo IV del titolo VII del codice di rito non condivisibile.

1.2. La corretta qualificazione giuridica del fatto nei termini enunciati è, tuttavia, preclusa a questa Corte.
Nel giudizio di legittimità, l'esercizio del potere della Corte di cassazione di attribuire al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella contenuta nel capo di imputazione è condizionato alla preventiva instaurazione del contraddittorio tra le parti sulla relativa questione di diritto (Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017 - 2018, Giacomelli, Rv. 272263) mentre, nel caso in esame, il confronto si è limitato all'alternativa richiamata in ricorso.
Sicché questa la Corte non può, d'ufficio, né procedere direttamente alla riqualificazione del fatto, stanti i limiti derivanti dalle pronunce della Corte di Strasburgo in relazione all'art. 6 CEDU, né disporre l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata ai fini della contestazione all'imputato del reato più grave, poiché l'eventuale condanna comporterebbe la violazione del principio della "reformatio in peius", per l'assenza d'impugnazione da parte del pubblico ministero (Sez. 2, n. 50659 del 18/11/2014, Funnarola, Rv. 261696, N. 36323 del 2008 Rv. 244974, N. 45807 del 2008 Rv. 241754, N. 3716 del 2016 Rv. 266953, N. 2340 del 2017 Rv. 271758, N. 41767 del 2017 Rv. 271391).
Alla luce di quanto esposto, il primo motivo di ricorso è, pertanto, infondato, in esso restando assorbita l'impugnazione avverso l'ordinanza che ha respinto la proposta di concordato fondata sulla errata qualificazione giuridica del fatto proposta dall'imputato.

2. Infondato è anche l'ulteriore motivo di ricorso.
Il diniego dell'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stato fondato, nelle conformi sentenze di merito, sul grado di offensività della condotta omissiva, ritenuto rilevante in considerazione delle circostanze del concreto contesto (falsa attestazione di generalità finalizzata all'elusione dell'identificazione in occasione di plurime violazioni del codice della strada) con motivazione non irragionevole e, comunque, contrastata attraverso un preteso travisamento del verbale della Polizia stradale del quale si chiede impropriamente alla Corte una rivalutazione.
3. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2019.

Il Presidente: CATENA
Il Consigliere estensore: TUDINO

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019.

 

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